Karate
Il Karate, che in questi ultimi anni ha raggiunto vertici di gran diffusione, è una disciplina sportiva che viene dal Giappone.
Tuttavia, le sue origini non sono radicate nella storia antica del vecchio regno di Yamato, come si potrebbe supporre, ma nel substrato culturale dell’Asia, dove da sempre è esistito l’uso di combattere corpo a corpo. E’ stato accertato dagli studiosi di arti marziali che il Karate trova le sue origini nel Vàjramushiti, un metodo di lotta sviluppato nella casta militare degli Kshatrya dell’antica India.
In molti testi esistono descrizioni di confronti di danza guerriera a mano disarmata paragonabile al Karate.
In India nella casta degli aristocratici nasce l’uomo al quale la leggenda attribuisce lo sviluppo dell’antico Karate: Bodhidharma, noto ai giapponesi col nome di Daruma Tashisi vissuto tra il V e il XVI secolo dopo Cristo. Kenkichi Sakakibara (1830-1849) e Jigoro Kano, l’uno per l’arte della spada e il secondo per il Judo, furono le personalità che per prime in Giappone si fecero promotrici di questo definitivo sviluppo delle arti marziali. Ebbero l’appoggio del governo che introdusse nelle scuole questi nuovi sport.
A Okinawa, divenuta ormai in tutto giapponese, l’Okinawa-te era senz’altro più popolare e seguita del Kendo e del Judo. I più forti combattenti e i migliori maestri erano di queste isole. Tra di questi, tre caposcuola assunsero il compito di divulgare il Karate-Do in Giappone: Kenwa Mabuni per lo Shito-Ryu, Choiun Miyagi per il Goju-Ryu e Gichin Funakoshi per lo Shotokan. Tra il 1900 e il 1920 furono i viaggi di questi e altri maestri in Giappone, per facilitare l’entrata ufficiale del Karate in Giappone riconosciuta nel 1923, anno in cui Funakoshi decise di restare sul suolo nipponico per diffondere il Karate.
La storia e l’evoluzione del karate sono molto complesse. L’analisi della storia dell’isola di Okinawa permette di comprendere come l’influenza cinese abbia formato quest’arte e come poi si sia sviluppata sotto la denominazione giapponese.
L’arte marziale di Okinawa si è sviluppata come un’arte tenuta segreta, che per lungo tempo è stata il privilegio dei nobili prima di diffondersi ad altri strati della società, pur restando appannaggio di un numero ristretto di persone.
Nel secolo XV il re di Ryu-kyu, dopo aver elevato al rango di nobili gli antichi capi locali, proibisce di portare armi.
Dopo aver invaso il paese, nel secolo XVII, i signori giapponesi di Satsuma mantennero l’interdizione delle armi istituita dal re di Ryu-kyu un secolo e mezzo prima e giunsero a stabilire saldamente il loro dominio sull’isola. Integrato nel regime feudale giapponese, il sistema gerarchico di Ryu-kyu diventò più rigido. Venne stabilita una gerarchia interna che si diversificherà ancora in seguito: nobiltà in tre gradi, vassalli in due gradi, contadini in due gradi. L’arte del combattimento a mano nuda praticata dalla nobiltà sembra aver avuto più che altro il senso di una manifestazione simbolica del suo rango. Tuttavia, nel corso dei secoli XVII e XVIII, i vassalli si impoverirono e una parte di questi si orientò poco a poco verso l’artigianato o il commercio, e infine verso l’agricoltura, per sopravvivere. Si manifestò una mobilità sociale tra la classe dei vassalli e quella dei contadini, malgrado la gerarchia complessa e rigida esistente a Ryu-kyu. Possiamo pensare che, con questa mobilità sociale, l’arte dei nobili a poco a poco abbia penetrato gli altri strati sociali; lo testimonierebbe la comparsa di termini come “mano (te) dei vassalli”, “mano degli artigiani”, “mano dei contadini”, avendo il termine “mano” (te) il significato di arte o di tecnica.
In giapponese il termine bushi designava colui che apparteneva all’ordine dei guerrieri (samurai). A Okinawa, dove la struttura sociale era diversa questo termine assunse il significato di adepto di te, qualunque fosse la propria appartenenza di classe; di qui un certo numero di significati erronei nell’interpretazione dello status sociale degli adepti. Il termine shizoku designa in giapponese l’ordine dei guerrieri. Quando però si dice che maestri di karate come G. Funakoshi, A. Itosu, S.B. Matsumura ecc… appartenevano allo shizoku, il senso e differente. In effetti a Okinawa, dove non esisteva un equivalente dell’ordine dei guerrieri giapponese, la cultura dell’ordine più alto, la nobiltà, era diversa; e il termine shizoku, introdotto dopo il secolo XVII, designava l’ordine dei vassalli intermedi tra i nobili e i contadini. Poco per volta si formarono nei vari strati sociali delle reti di trasmissione esoterica dell’arte marziale. Questo dipendeva da una parte dal fatto che, da lunga data, quest’arte marziale veniva praticata segretamente nella cerchia ristretta dei nobili, dove era concepita come il segno di un privilegio, e dall’altra dal fatto che la dominazione di Satsuma controllava l’armamento della popolazione.
L’arte cinese del combattimento ha avuto un ruolo d’importanza primaria nella formazione del karate. Di fatto, il karate non avrebbe preso questa forma senza il contatto con l’arte cinese del combattimento, anche se fossero esistite già da prima a Okinawa – cosa non certa – tecniche di combattimento sufficientemente elaborate per servire da base alla creazione di un’arte del combattimento. Dai documenti storici disponibili si deduce che l’arte cinese del combattimento è stata introdotta a Okinawa attraverso tre canali complementari: